Ariel Toaff - Pasque di sangue


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Ariel Toaff - Pasque di sangue
Ebrei d'Europa e omicidi rituali


I processi per omicidio rituale costituiscono una matassa difficile da dipanare, dove chi intende esaminarli va in genere alla ricerca di conferme, più o meno convincenti, alle teorie che ha sviluppato in precedenza e in cui sembra credere fermamente. Gli elementi che non si attagliano al quadro sono spesso minimizzati nei loro significati, talvolta passati sotto silenzio. Stranamente in questo tipo di ricerca si dà già per assodato a priori quello che dovrebbe essere dimostrato. Chiara è la percezione che un diverso atteggiamento presenterebbe pericoli e implicazioni, che si intendono evitare a ogni costo.
Non v'è dubbio che l'uniformità delle confessioni degli imputati, contraddetta solo da varianti e incongruenze generalmente legate a particolari di secondo piano, era assunta dai giudici e dalla cosiddetta «opinione pubblica» come conferma che gli ebrei, caratterizzati dalla loro grande mobilità e diffusione, praticavano riti orrendi e micidiali in odio alla religione cristiana. Lo stereotipo dell'omicidio rituale, come quello della profanazione dell'ostia e del sacrificio cannibalico, era presente a suggerire a giudici e inquisitori la possibilità di estorcere agli imputati confessioni simmetriche, armoniche e significative, mettendo in moto denunce a catena, da cui partivano vere e proprie cacce all'uomo e massacri indiscriminati.
Se si è tentato in qualche caso di ricostruire i meccanismi ideologici, con le loro giustificazioni teologiche e mitologiche, che resero possibile la persecuzione degli ebrei, ritenuti responsabili di riti oltraggiosi e sanguinari, soprattutto nell'Europa di lingua tedesca, poco o nulla è stato compiuto per indagare sulle credenze di 8 quegli uomini e quelle donne che erano accusati, o si accusavano, di crocifissione rituale, di profanazione dell'ostia, di ematofagia e cannibalismo.
D'altronde se si fa eccezione per il primo caso clamoroso di crocifissione rituale, avvenuto a Norwich nel 1146, e per l'altrettanto celebre accusa del sangue a Trento nel 1475, processi e resoconti (ciò che viene definito con l'espressione generica di documentazione storica) costituiscono tracce deboli, spesso casuali, stringate nella forma e aride di particolari, che non consentono di lavorarci sopra. Quindi spesso quel che manca viene artificialmente aggiunto, supposto o postulato, in mancanza di elementi probanti espliciti nella direzione voluta, immerso in un bagno colorato, dove il quadro è per lo più impressionistico, avvolto in una nube di mistero emergente con tutto il suo armamentario da un passato lontano, che resta incomprensibile a chi si ostina ad affrontarlo applicando categorie interpretative anacronistiche. In genere questo sforzo, palesemente inattendibile, è compiuto in buona fede. O meglio, quasi sempre in buona fede.
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